Si sente spesso parlare di branding. Cioè di quell’insieme di attività che riguardano la gestione e il consolidamento di una marca sul mercato.
Ma anche di rebranding. Molto meno – invece – di debranding.
Che cos’è? Un’innovativa strategia di marketing attuata specialmente da grandi aziende e multinazionali, i cosiddetti “love brands”. Con lo scopo di rendersi più accessibili ai propri clienti.
Per saperne di più non resta che leggere la nostra guida.
E non dimenticare di prendere appunti!
In pochi punti:
Cos’è il debranding e a cosa serve
Cominciamo con la traduzione letterale.
Debranding vuol dire “de-marcazione”. Naturalmente, in questo caso, non si tratta di delineare un limite. Tracciare un confine. Ma di promuovere un prodotto facendo a meno del relativo logo o marchio.
Qual è l’intento finale?
Semplice.
Distinguersi dai competitors. Ma, soprattutto, offrire al pubblico una percezione più autentica, decisamente consumer friendly e personale della propria azienda.
Tipologie
OK. Con la teoria dovremmo esserci. Ma cosa significa fare debranding all’atto pratico?
Diciamo che il cambiamento viene applicato sull’identità grafica/visiva del brand.
Le aziende cercano di rinnovarsi muovendosi, principalmente, su due binari.
Tramite:
- rimozione completa del logo = vedi Ferrero campagna “Nutella sei tu”;
- rimozione del nome dell’azienda dal logo = vedi logo Starbucks dal 2011 – Sirena colore bianco su fondo verde, no lettering.
I risultati di un buon lavoro? Un’immagine aziendale più professionale e dinamica. In generale, maggiormente orientata al consumatore.
Come si realizza un logo efficace, semplice da ricordare e funzionale?
Te lo spieghiamo noi grazie ai suggerimenti degli esperti.
Dai un’occhiata!
Consigli utili per fare debranding
In realtà, prima di passare all’azione, dobbiamo porci una domanda fondamentale.
E cioè: è il momento giusto per fare debranding?
Se il nostro marchio non è ancora un marchio riconosciuto, popolare su larga scala, il discorso non ha nemmeno senso di esistere.
Sarebbe una contraddizione in termini.
Per “debrandizzare” occorre avere un brand forte. Non esistono obiezioni che tengano.
Ecco perché questa strategia riguarda – in particolar modo – i brand più famosi. Come quelli già citati. Ma anche Apple, Mastercard, Shell, Mc Donald’s, Mercedes e via dicendo.
Ora… mettiamo il caso di essere i candidati ideali. Il nostro marchio è piuttosto noto e – nel tempo – è riuscito a ritagliarsi una bella fetta di mercato.
Come si dovrebbe procedere?
Beh, per realizzare una strategia di debranding incisiva, che abbia buone prospettive di riuscita, ricorda le seguenti indicazioni.
- Punta sulla semplicità senza stravolgere la tua brand identity
Un esempio pratico? Molte aziende hanno scelto di fare debranding adottando font più lineari. Meno stravaganti. - Cerca di essere flessibile
Il cambio di passo potrebbe essere temporaneo. Specie se i risultati non sembrano quelli sperati. Conviene considerare sempre un piano B e rivolgersi a professionisti del campo. - Associa al marchio sentimenti positivi
Serve a stabilire una connessione solida, duratura e sincera con i clienti (a tal proposito… non perderti il nostro articolo sul potere del marketing emozionale).
Le persone non vogliono sentirsi come se gli stessero dicendo qualcosa, vogliono essere intrattenute, vogliono essere emozionate.
Jonah Berger
Il debranding conviene davvero?
Per tirare le somme bisogna partire da una considerazione importante.
Il debranding non è una moda passeggera. O lo sforzo velleitario di qualche designer pluri-stipendiato che vuole fare colpo su capi particolarmente esigenti.
Anzi. Nasce per pura esigenza di mercato. Con l’obiettivo di spostare il focus sul valore dei prodotti/servizi offerti e sugli stessi consumatori.
PRODUCT FIRST. PEOPLE FIRST.
Non abbiamo bisogno di fare più branding, ma di meno prodotti di maggior qualità.
Jasmine De Bruycker
Insomma, le aziende scommettono sul debranding per ampliare ogni possibilità di contatto e comunicazione con i potenziali clienti . Ed evitare che percepiscano il proprio marchio come uno dei tanti.
Morale della favola… Chi non dovrebbe rinunciarci?
Come abbiamo detto il debranding è speciale appannaggio dei brand consolidati.
Ma non si tratta di una regola sempre valida.
Ci sono aziende (almeno quelle più istituzionali) che con il debranding rischierebbero di perdere punti e credibilità conquistata con impegno e fatica.
Quindi attenzione. Facciamo qualche analisi prima di agire.
Esempi di debranding
Come non citare il caso Nike? La famosa multinazionale americana, specializzata in abbigliamento e calzature sportive, nel lontano 1995 azzarda una decisione che si rivela azzeccatissima.
Quale? Elimina il logotipo dal proprio marchio per lasciare spazio esclusivo all’iconico swoosh.
LESS IS MORE e funziona. Tutt’oggi.
Nell’arco di pochi anni, altri grandi firme decidono di adottare la stessa strategia. E con successo.
Tutti ricordiamo – ad esempio – la campagna “Share a Coke” del 2014.
Come per magia, su ogni bottiglia il lettering del logo Coca Cola viene rimpiazzato da nomi propri nomi di persona o da scritte più generiche (ma ad alto impatto emotivo) come “mamma”, “papà” e “amore”.
L’idea è vincente. Solo in America le vendite aumentano del 2% invertendo un trend negativo lungo quasi un decennio.
Conclusioni
Per molti il debranding costuisce – almeno in parte – il vero futuro del marketing.
Un nuovo modo di fare pubblicità. Promuovere un marchio senza (di fatto) promuoverlo. Per avvicinare consumatori sempre più scettici e refrattari alla “babilonia” imperante dei brand.
Ti piacerebbe avere maggiori informazioni? Approfondire l’argomento?
Ascolta le parole del creative director Thierry Brunfaut. Il video è in inglese ma provvisto di sottotitoli.
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